Stipendi, Padova sale: è tra le prime in Italia
L’analisi della Cgia sul settore privato: questa provincia è quindicesima a livello nazionale e seconda in Veneto. La retribuzione media mensile lorda è 1.960 euro.
La notizia è doppia: gli stipendi sono tra i più alti d’Italia e sono pure in aumento. La situazione non è tutta rose e fiori perché in provincia di Padova ci sono diverse crisi aziendali che preoccupano e intanto c’è ancora un’altissima mole di contratti precari, ma intanto il quadro dei salari porta con sé due elementi positivi. La retribuzione media lorda mensile è di 1.960 euro e cresce del 3,5% rispetto all’anno precedente. Padova è la quindicesima provincia in Italia e la seconda del Veneto, sotto Vicenza per soli 13 euro.
È tutto scritto nel report della Cgia di Mestre, pubblicato a fine dicembre e basato sui dati Inps ricavati dall’Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato, esclusi operai agricoli e domestici. I numeri sono riferiti al 2023 e confrontati con il 2022. L’Ufficio studi veneziano ha calcolato la retribuzione mensile lorda rapportando quella annua a 13 mensilità. «Per retribuzione – precisano gli esperti – è da intendersi l’imponibile previdenziale comprensivo dei contributi a carico del lavoratore».
LO SCENARIO
Nella classifica delle regioni il Veneto è quarto dietro a Lombardia, Emilia e Piemonte ma davanti a Trentino, Friuli e Lazio. In fondo alla classifica solo regioni del sud: Calabria, Sicilia, Campania e Puglia. In Veneto la retribuzione media mensile lorda è di 1.884 euro, +3,3% rispetto all’anno precedente.
A Padova, dove i lavoratori presi in considerazione sono 323.491, la retribuzione media lorda è leggermente più alta. La classifica è dominata da Milano e Monza-Brianza, poi seguono nell’ordine Parma, Modena, Bologna, Reggio Emilia, Lecco, Torino, Bergamo, Varese, Bolzano, Trieste, Vicenza, Genova e appunto Padova. Dietro troviamo Treviso (1.951 euro), Verona (1.865), Belluno (1.829), Venezia (1.728) e Rovigo (1.633). In coda Cosenza, Nuoro e Vibo Valentia dove la cifra media lorda è di appena 1.030 euro.
La Cgia di Mestre rimarca le differenze retributive tra i lavoratori dipendenti privati del nord e i colleghi del sud: se i primi percepiscono una busta paga di circa duemila euro lordi al mese, quella dei secondi sfiora invece i 1.350 euro. In sostanza nel settentrione si guadagna mediamente quasi il 50% in più. Ciò significa 8.450 euro lordi in più all’anno.
Conosce bene la situazione Samuel Scavazzin, segretario generale Cisl Padova Rovigo. «Rispetto ad altre città d’Italia, Padova evidenzia un’alta percentuale di manodopera con contratti a tempo indeterminato e in buona parte qualificata, perché dove c’è manodopera a tempo determinato o stagionalità gli stipendi sono più bassi – analizza -. Il tessuto produttivo è inoltre diversificato e sono presenti anche settori ad alta specializzazione, dove gli stipendi sono più alti rispetto ad altri e questo contribuisce ad elevare la media».
Per Scavazzin «i dati evidenziano quindi un tessuto produttivo solido, ma, per questo, non possiamo rimanere fermi o vivere di rendita. Dobbiamo invece continuare a lavorare per incrementare l’utilizzo della contrattazione di secondo livello e per aumentare la partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese, uno strumento fondamentale per aumentare il benessere dei lavoratori e migliorare la produttività delle aziende».
LA CATEGORIA
«Credo che le imprese abbiano il dovere di svolgere un ruolo di primo piano nella comunità in cui sono inserite, esercitando attivamente la propria responsabilità sociale – riflette poi Marco Trevisan, presidente padovano di Confapi, confederazione delle piccole medie imprese -. In questo senso gli imprenditori padovani e veneti si sono mostrati pronti nel fare la propria parte, facendo in modo che le retribuzioni venissero adeguate al costo della vita».
Dietro all’incremento c’è però anche l’ormai endemica questione della carenza di manodopera e per Trevisan «la progressione retributiva si spiega anche con le difficoltà che le imprese affrontano nel trovare e trattenere dipendenti chiave, mostrandosi disponibili a pagarli di più per fidelizzarli».
IL NODO
Da rappresentante nel mondo delle imprese Trevisan ricorda però che «in Italia il cuneo fiscale in Italia, ossia l’indicatore che misura la differenza tra il costo del lavoro per l’azienda e il salario netto che il lavoratore riceve effettivamente in mano, nonostante sia sceso dal 45,9% dell’anno precedente, rimane uno dei più alti tra i paesi Ue, attestandosi al 45,1% del costo del lavoro nel 2023 per un lavoratore standard single e senza figli a carico, contro una media Ocse del 34,8%. Significa che quasi la metà delle spese sostenute dalle aziende per impiegare un lavoratore sono destinate a tasse e contributi sociali, rendendo l’Italia poco competitiva rispetto ad altri paesi».
«Tutto ciò che va nell’ottica di aumentare il reddito dei lavoratori va visto con favore, anche e soprattutto in questo momento di crisi, con la produzione industriale in calo da due anni a questa parte – conclude Trevisan -. L’aumento dei salari, non dimentichiamolo, si riflette in un aumento dei consumi, che sono alla base di tutto il funzionamento dell’economia. Ma occorre mettere mano pesantemente all’intero sistema della tassazione sul lavoro. Occorre adottare politiche per cui ogni aumento e ogni premio possa essere applicato senza tasse aggiuntive né per i datori che lo corrispondono, né per i lavoratori che lo percepiscono. Sì, perché un’azienda non può pagare due volte l’aumento o il premio elargito e a sua volta il lavoratore non deve pagarci su altre tasse».