Reddito di cittadinanza: in 3000 restano senza reddito
La riforma del sussidio per chi non lavora riguarda oltre 1.600 famiglie polesane.
Colombo (Cgil): “Difficile collocare queste persone”. Scavazzin (Cisl): “Ma rivederlo è giusto”.
ROVIGO – L’abolizione del reddito di cittadinanza, che dopo luglio sarà confermato soltanto a chi ha minori a carico o è in condizioni di impossibilità di lavorare, interessa oltre tremila cittadini polesani che, dai dati di Veneto Lavoro, dalla nascita della norma ne avevano fatto richiesta.
Il numero dei percettori nella nostra provincia, 3.227 per 1.651 nuclei familiari coinvolti, paragonato a quello delle altre province venete, risulta più che dimezzato, il Polesine è in assoluto il territorio con l’importo medio mensile più alto del Veneto, pari a 511,60 euro a beneficiario.
“Sono però dati interessanti che fanno riflettere – spiega Samuel Scavazzin, segretario generale della Cisl – perché oltre tremila persone, se paragonate alle oltre 6.000 di Treviso, possono sembrare poche, ma se li mettiamo in relazione con il totale del numero di abitanti delle due province la percezione è diversa”.
Ma se il reddito di cittadinanza per molte famiglie ha rappresentato la possibilità di vivere, le critiche non sono mancate, con la misura accusata di essere stata un modo di guadagnare senza dover lavorare, pur avendone le possibilità. Da qui la scelta di rivederlo dando la possibilità di percepirlo solo a chi non è in grado di lavorare.
“Al momento è impossibile sapere a chi lo toglieranno perché non sono stati comunicati i parametri su cui verranno fatte le valutazioni – aggiunge Scavazzin – quello che sembra certo è che dopo sette mesi verrà tolto e chi lo percepisce deve trovare un impiego. Personalmente credo sia giusto rivederlo: il reddito di cittadinanza ha aiuto molte famiglie e persone indigenti ma andava riformato perché mancava la parte relativa alle politiche attive del lavoro. L’augurio è che in questa rivisitazione vi sia una reale e concreta concertazione con le parti sociali per trovare le modalità giuste”.
Fondamentale, secondo Scavazzin, anche un impegno maggiore nel coinvolgimento attivo dei centri per l’impiego,per trovare lavoro ma anche per creare formazione. “Serve un potenziamento dei centri per l’impiego che al momento non stanno funzionando come dovrebbero – spiega – siamo in un periodo storico in cui passaggio da un lavoro ad un altro non è automatico e c’è molta attenzione alle specificità del lavoro che si va a intraprendere che richiede sempre più preparazione. Per chi si trova a casa
disoccupato non è automatico trovare immediatamente, per questo è importante integrare questo percorso con corsi di specializzazione. Il reddito va quindi gestito per far incontrare chi offre e chi cerca, ma anche chi può preparare i lavoratori. Il lavoro non può essere solo Amazon, altrimenti torniamo ad essere un terreno di conquista in mano a poche aziende”.
In ogni caso i dati parlano chiaro: il Polesine presenta diverse situazioni di criticità. “Non è un dato che sorprende perché coerente, in negativo, con il fatto che Rovigo ha i redditi più bassi del Veneto e anche un tasso di occupazione minore – commenta Pieralberto Colombo, segretario generale della Cgil – l’errore a monte è stato considera il reddito di cittadinanza un sostituto delle politiche attive per il lavoro. E’ uno strumento che hanno tutti i paesi nel contrasto alla povertà, toglierlo e basta significa togliere dignità a tante persone”.
Secondo la Cgil, quindi, prima di abolirlo bisognerebbe costruire un percorso. “Non c’è dubbio che le politiche le attive del lavoro vadano modificate – conclude – nel nostro territorio è molto difficile collocare le persone che hanno fatto domanda del reddito di cittadinanza, perché si tratta di cittadini con difficoltà particolari ad inserirsi, come bassa scolarità o qualifiche non adeguate.
Le prime a non assumerle sono le aziende stesse. C’è poi la necessità di considerare qual è l’offerta fatta, se è adeguata alle esigenze della persona e quali strumenti ha a disposizione il lavoratore per raggiungere il posto di lavoro offerto. Per creare uno strumento più efficace ci dovrebbe essere una gestione più locale, con le amministrazioni, che conoscono meglio di chiunque le condizioni dei lavoratori. In ultimo riteniamo sbagliato che il percettore debba accettare un qualsiasi lavoro, altrimenti il reddito diventa solo uno strumento per dare manovalanza a basso costo alle imprese”.