Sindacati contrari a quota 102. “Serve una riforma strutturale”.
Cgil, Cisl e Uil: «Non si può pensare solo a chi lascia oggi, bisogna tutelare il futuro di donne e precari»
Quota 102 non convince i sindacati neanche a Padova. La riforma “ponte” delle pensioni che il Governo dovrebbe varare con la prossima legge di bilancio, allo scopo di rendere più graduale un ritorno da Quota 100 alla legge Fornero, è vista da Cgil, Cisl e Uil come un palliativo che lascia irrisolta una questione da affrontare con una riforma strutturale, che non guardi solo all’immediato futuro, ma che tuteli anche a chi in pensione rischia di non andarci mai. «Partiamo dal presupposto che Quota 102 è una misura che riguarderà un numero irrisorio di persone», dice Aldo Marturano, segretario generale della Cgil di Padova «a livello nazionale nel 2022 avrebbero i requisiti circa 34 mila persone, ma buona parte sono persone che avrebbero potuto usufruire anche di Quota 100. Secondo il nostro centro studi alla fine la platea si riduce a 8.500 persone in tutta Italia». Ma in ogni caso, non ha neanche senso ragionare di questa misura in sé: «Bisogna fare un ragionamento più ampio, basato sul principio di flessibilità, per cui si possa scegliere se andare in pensione prima, con un assegno più basso, e viceversa», prosegue Marturano «ma è sbagliato pensare solo ai pensionandi: chi oggi ha 40 anni, e magari ne ha già lavorati molti con contratti precari, non arriverà mai a maturare una pensione. Sicuramente non sarà dignitosa. Per questo serve una riforma strutturale che riconosca garanzie a chi ha lavorato in modo discontinuo. Penso soprattutto alle donne, che a causa dell’onere del lavoro di cura perdono anni di contributi. Le pensioni continuano a essere un bancomat – conclude – con cui risanare i conti, quando si dovrebbero affrontare temi come l’evasione, e un sistema fiscale che non fa pagare abbastanza a chi ha di più».
Dura la critica di Samuel Scavazzin, segretario della Cisl di Padova e Rovigo: «Questa impostazione è inaccettabile: Quota 102 non è altro che un tampone verso il ritorno alla legge Fornero». Anche secondo la Cisl flessibilità e garanzie a lungo termine sono i capisaldi di un ragionamento complessivo sulle pensioni che va fatto il prima possibile. «Bisogna arrivare a una riforma del sistema pensionistico – dice Scavazzin – che lasci libertà di uscire dal mercato del lavoro a 62 anni, o con 41 anni di contributi. Dobbiamo però pensare con un orizzonte di almeno 20 anni, non solo all’immediato, altrimenti con ogni nuovo Governo le cose cambiano. Bisogna introdurre pensioni di garanzia per i giovani e le donne, per cui il precariato è una costante». Il sistema contributivo “puro”, insomma, va cambiato, tenendo in considerazione la realtà frammentata e discontinua che caratterizza la vita lavorativa di sempre un maggior numero persone.
«E bisogna ragionare anche sulle retribuzioni, perché retribuzioni povere portano a pensioni poverissime», aggiunge Riccardo Dal Lago, coordinatore locale della Uil. «L’idea di proseguire con la legge Fornero ci lascia esterrefatti», dice «riteniamo doveroso riproporre una misura che permetta di andare in pensione con 41 anni di contributi, che sono già difficili da raggiungere per molti. Ma questo sistema è precario, 600 milioni servono a poco, e soprattutto non danno risposte a chi dovrà andare in pensione in futuro. Ci vuole un intervento strutturale che copra i periodi lasciati scoperti tra un’attività precaria e l’altra. Il sistema contributivo, in un mondo del lavoro sempre più precario, mette le prossime generazioni nella condizione di vedere le proprie pensioni sempre più lontane. Oltre che più povere» conclude.